Svuotato

Non faccio mai l’intero:  una foglia si stacca

e poi fischio, con due dita,  su ogni vena

e cado, m’adagio, sulla schiena.

Mi aggrappo a ogni corrente, d’oriente

divento cieco, un imbuto, poi muto

e non parlo, un liuto, chinato,

come ramo mi piego all’occidente: sono pesante

mi proteggo, furibondo, come un giudizio

poi svuotato, senza preludi, approdo al Caucaso

svuotandomi d’ogni ridondanza.

 

Inesprimibile

E’ tutto ciò che ho: l’inesprimibile.

La soglia

dove sto

a due palmi di mano dal vischio

con un perimetro

di dieci pollici dal cerchio

che faccio

quando sto incollato alla ghiera

che mi vanga, mi gira e mi rigira

come fossi scissile

da questo tempo, da questo cielo

 

ma sto qua, invece,

a tamburellare, due dita, due, sulla mia trenodìa.

Salgemma

Oggi sono salgemma

a fortiori ho cristalli alla rinfusa

vivo in un polipolio

come somma, mi sollevo e mi sottraggo

bivacco, faccio un cerchio, divento cristallo

e mi passo un dito tutt’attorno, suono

sono sonoro, consuono un mormorio

stacco un ferraccio, m’affaccio alla gemmazione

m’innesto valanghe alle mani

un tralcio di corbezzolo d’ottobre a novembre

donde rima coi  petali d’elianto.

 

 

 

Soffio

Ho fatto il grande e l’angusto
poi il pieno, poi il vuoto
mi sono trovato sugli ulivi
a sibilare d’argento
e poi pioggia, leggera

la ciotola ha ricevuto
una marea di gocce
una per una: poi tante.
Una piuma, leggera, è caduta
ha fatto la brezza dentro
e sono svanito in un soffio.

Tic tac

Tic
Assoldai la porpora per rendermi d’assalto
e come un lichene
mi nutrii con ganasce prive di cimento
posai, infine, la coscienza sopra una pietra
per leccare la via lattea da cima a fondo
era buona: sapeva d’infinito.

tac

Pugnale

L’abilitazione a condurre l’inverno

è la nostra barriera edificata all’afflizione,

arrendersi non è così male, se appare

il liuto e le pale a scavare più a fondo.

Dicono che bisogna cavare le sterpi:

è vero. Ma le sterpi alle radici

non devono solo il rituale coniugale

che le lega alla terra col tronco,

hanno sempre una parte che assorbe e fende

come un pugnale che nutre col sangue la madre.

Dammi tre parole

Mi schianto, mi tocca incidere

ogni poro alla talea

il cuore, accanto alle scapole, s’alleva

meglio alla letizia;

incidimi gli allori

uno a uno

sole che mi odii

quando mi guardi con l’occhio calanco

io cerco il tuo odore nell’impeto pluviale

quando scendi sul mio capo

con una goccia d’amore.

 

Asfodelo

 

Nelle montagne procreiamo i cieli

anche se distante da noi, lo stelo

su cui eleviamo vagiti

ci allunga all’insoglio

e alle rive dei laghi tra i nembi;

 

quando non attecchiamo

rafforziamo l’epitelio

e in contrade coviamo il dondolio del dito:

come si adatta l’asfodelo alle rupi

così noi ci adattiamo

al cantico dei  lupi.

Morire

Si ha solo voglia di lacrimare

fino a dissolvere ogni cellula nell’aria

 

si ha voglia di morire

come i celti alla marea

che si scordavano

su navi di quercia e vele di pelle di bufalo

 

si ha voglia di allungarsi e allargarsi,

fino a contenere tutto il mondo nella fiamma del petto

 

si ha voglia di rotolare e sfinirsi

e amare

il nostro riflesso negli occhi d’un cucciolo carnale.